Chiara Agostini è ricercatrice del Laboratorio Percorsi di secondo welfare, e ha curato la pubblicazione “La sfida del digitale: innovare la scuola per promuovere l’inclusione” (scaricabile gratuitamente qui). Il volume presenta i risultati di un lavoro di ricerca – realizzato da un team di sei ricercatori e ricercatrici nell’anno scolastico 2022-2023 grazie al sostegno di Bolton Hope Foundation – sulla digitalizzazione della scuola italiana negli anni successivi alla pandemia.
L’abbiamo intervistata per raccogliere la sua testimonianza in merito alle profonde trasformazioni cui sta andando incontro il mondo della scuola dal punto di vista delle tecnologie e del cambiamento dei metodi di insegnamento, e di come queste trasformazioni possano avere delle conseguenze per quanto riguarda il fenomeno della dispersione scolastica, al centro della progettualità di azionamenti | Laboratorio di possibilità.
Dottoressa Agostini nel volume si parla di “didattica innovativa” e di “didattica digitale”, di cosa si tratta?
Il volume approfondisce l’innovazione di quelle modalità di insegnamento che possono essere veicolate anche grazie al supporto del digitale. Con il termine “didattica innovativa” ci riferiamo, infatti, a tutte quelle pratiche che ricorrono a un metodo diverso rispetto a quello trasmissivo, ovvero basato sul trasferimento verticale di conoscenze dall’insegnante ai discenti. Queste forme di didattica non richiedono necessariamente il ricorso a strumenti digitali, ma certamente il digitale le facilita. La “didattica digitale”, in questo senso, non è una semplice trasposizione della didattica trasmissiva su supporto tecnologico, bensì una nuova modalità di insegnamento favorita dalle tecnologie.
Quali sono i principali cambiamenti portati da questo tipo di didattica?
Secondo la letteratura scientifica, e come conferma anche il nostro lavoro, l’introduzione di questo tipo di didattica ha delle conseguenze profonde sul rapporto fra docenti e studenti. Le relazioni tendono a diventare più orizzontali, paritarie, collaborative, con la possibilità di uscire dalle dinamiche più competitive. Il ruolo dell’insegnante, in questo contesto, diventa quello di facilitatore dello scambio tra studenti e del processo di apprendimento collettivo.
Quali sono, invece, le maggiori criticità derivanti da un utilizzo capillare delle tecnologie digitali?
Se durante la pandemia la criticità maggiore è stata la mancanza di strumenti tecnologici adeguati, che ha colpito in modo particolare le famiglie meno abbienti, nella fase immediatamente successiva è apparso evidente come il problema maggiore fosse la mancanza di conoscenze e di consapevolezza nei confronti degli strumenti stessi. L’assenza di un’educazione digitale dedicata, l’incapacità di compiere ricerche online in autonomia, di saper distinguere tra notizie vere e false, di diffondere informazioni in maniera corretta, di tutelare i dati personali sono alcune delle caratteristiche di un analfabetismo digitale di fondo che penalizza i giovani.
Quali sono invece gli aspetti da tenere conto per quanto riguarda la formazione e l’approccio dei docenti?
Anche tra i docenti sussistono ampi divari dal punto di vista della consapevolezza e dell’alfabetizzazione digitale, che di certo non aiutano quando si tratta di utilizzare le nuove tecnologie durante le ore di lezione. Diventa quindi necessario creare le condizioni affinché sia gli studenti, sia i docenti, possano utilizzare questi strumenti all’interno di una “zona di confort” dove entrambi possono sperimentare metodi innovativi di fare lezione, ridefinendo i ruoli di entrambi ma senza penalizzare oltremodo nessuno degli attori coinvolti. Il sostegno del collegio docenti, della dirigenza dell’istituto, gli investimenti in tecnologie e la formazione possono essere di grande aiuto, in questo senso, ma da soli non possono sostituirsi a un intervento strutturale da realizzarsi a monte del sistema scolastico.
Qual è l’impatto delle tecnologie digitali sul rischio di dispersione e abbandono scolastico, e che cosa si potrebbe fare per migliorare?
È molto difficile, oggi, stabilire in che misura la didattica digitale riesca effettivamente a coinvolgere gli studenti a maggiore rischio di abbandono, incidendo sui rendimenti scolastici e incentivando il loro proseguimento negli studi. Se uno degli obiettivi della didattica digitale è rispondere in maniera mirata a bisogni specifici di apprendimento (ad esempio, tramite il ricorso all’intelligenza artificiale), nondimeno la letteratura scientifica non riesce ancora a dimostrare questi risultati in maniera definitiva. Il contesto in cui lo studente è inserito, la preparazione degli insegnanti, la disponibilità di tecnologie e l’alfabetizzazione digitale sono tutte variabili che rivestono un ruolo determinante affinché lo studente si senta maggiormente coinvolto, motivato e intenzionato a proseguire nel percorso di studi.
Quanto è importante il digitale nel mondo del lavoro e come mai esiste questo “scollamento” nell’utilizzo di questi strumenti tra la vita sociale, l’ambiente scolastico e il posto di lavoro?
Spesso la difficoltà di maturare un rapporto “sano” con le tecnologie è il sintomo di un problema ben più profondo. Servirebbero, a questo proposito, più dati sulla diffusione delle tecnologie digitali, sul loro utilizzo effettivo, sulle conseguenze per il benessere e la salute degli individui. La scuola, in questo senso, dovrebbe essere il luogo dove si formano i cittadini digitali di domani, ma a condizione che sia supportata dalle altre istituzioni e da tutti coloro che rivestono un ruolo fondamentale nell’educazione delle nuove generazioni. L’obiettivo finale deve essere quello di usare il digitale come strumento per superare le diseguaglianze, onde offrire a tutti le stesse opportunità di apprendimento e di connessione.