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“Dalla padronanza della lingua un aiuto fondamentale all’integrazione delle seconde generazioni”: intervista al professor Giuseppe Russo

Le riflessioni di Giuseppe Russo, professore associato all’Università di Salerno e esperto di political economy, mercato del lavoro e economia delle migrazioni, sul rischio di dispersione e abbandono scolastico tra studentesse e studenti immigrati e di seconda generazione che frequentano la scuola dell’obbligo in Italia.

Un dottorato in Economic Analysis and Policy alla Paris School of Economics, borsista al CNRS francese, ricercatore del CNR, professore associato all’Università di Salerno e affiliato al Center for Studies in Economics and Finance: Giuseppe Russo è un esperto di political economy, mercato del lavoro, economia delle migrazioni e, non a caso, è autore del paper “Lost in Translation: Reading Performance and Math Performance of Second-Generation Children in Italy” (in corso di pubblicazione sul Journal of Human Capital).

In questo studio, il professor Russo – insieme alla co-autrice Mariagrazia Cavallo dell’Università di Bristol – analizza i risultati scolastici degli immigrati di seconda generazione al termine della scuola elementare. Un lavoro di ricerca fondamentale e che dimostra come una carente padronanza della lingua durante l’infanzia possa ostacolare l’apprendimento delle altre materie, e quindi avere conseguenze potenzialmente permanenti sul resto del percorso scolastico, aumentando il rischio di dispersione o emarginazione per i giovani nati in Italia da genitori stranieri.

Professor Russo, da dove nasce il suo interesse nei confronti dei temi dell’educazione in generale, e dell’integrazione dei giovani di seconda generazione in particolare?

L’analisi delle politiche migratorie porta inevitabilmente ad affrontare il tema dell’integrazione di adulti e minori, un processo che non consente soluzioni immediate. L’obiettivo dell’integrazione, infatti, dovrebbe essere quello di portare gli immigrati e i loro figli a raggiungere condizioni di vita – reddito, istruzione, occupazione – simili a quelli della popolazione “nativa”. Eppure, per una serie di motivi tra cui l’insufficiente insegnamento della lingua italiana, il nostro Paese in questo momento sta rischiando di lasciare indietro le seconde generazioni. Vista la dinamica demografica, è una perdita che non possiamo permetterci: solo attraverso una piena integrazione socioeconomica, infatti, le persone sono in grado di contribuire alla crescita del Paese, al suo sviluppo e al suo sistema di welfare.

Quanto è grave e indagato, oggi, il rischio di dispersione e abbandono scolastico tra studentesse e studenti immigrati e di seconda generazione che frequentano la scuola dell’obbligo in Italia?

Il nostro studio è uno dei pochi ad aver approfondito il tema dell’integrazione dei bambini di seconda generazione da una prospettiva linguistica, e quello che abbiamo trovato è una situazione allarmante, probabilmente sottostimata rispetto alla reale gravità del fenomeno. I figli di immigrati che sono nati in Italia e che non dispongono delle medesime competenze linguistiche dei loro coetanei vanno incontro a un processo di apprendimento molto frammentato e deficitario rispetto alle aspettative. Se è vero che la conoscenza della lingua del paese di destinazione è la forma più importante di capitale umano, preliminare a qualsiasi apprendimento ulteriore, non possedere una conoscenza linguistica sufficiente per la comprensione di quello che viene detto, discusso, approfondito a scuola comporta una penalizzazione che può facilmente diventare permanente. Come Paese stiamo ponendo le basi per una integrazione segmentata, tipica di una società scarsamente coesa, in cui minoranze intrappolate in sacche di marginalità si dibattono inutilmente.

Quali possono essere, in questo contesto, le cause direttamente riconducibili della scuola?

Alla scuola viene chiesto di fare tanto, spesso senza fornirle le risorse adeguate agli obiettivi da raggiungere, o caricandola eccessivamente di burocrazia. Lo scopo dovrebbe essere, in ogni caso, quello di mettere questi giovani nella condizione di parlare meglio l’italiano per poter apprendere con successo anche le altre materie di studio. Non è un traguardo impossibile, ma richiede tempo e risorse che al momento sono carenti. La politica e le istituzioni dovrebbero occuparsi della società che vogliamo costruire nel futuro, e il problema di come costruire una società coesa, integrata e stabile è ineludibile nel lungo periodo.

Quali possono essere le conseguenze per l’inserimento lavorativo dei giovani?

Nei prossimi anni andremo incontro a un mercato del lavoro in cui i compiti di routine saranno sempre più delegati alle macchine, mentre diventeranno fondamentali quelle competenze di base, creative (anche umanistiche) che la scuola – e nello specifico la scuola italiana – ha da sempre insegnato. Per impadronirsi di queste competenze, tuttavia, è fondamentale che gli studenti stranieri di prima e seconda generazione abbiano un livello di competenza linguistica pari a quello dei propri coetanei, altrimenti saranno sempre più relegati ai margini della società, intrappolati in mestieri obsoleti che prima o poi saranno svolti da una macchina. L’ascensore sociale si muove grazie all’istruzione, e l’unico modo per rimanere dentro il mercato del lavoro passa per una formazione capace di offrire gli strumenti per adattarsi e aggiornarsi costantemente. I cambiamenti del lavoro nell’arco di una vita sono ormai così rapidi da portare a una veloce obsolescenza delle conoscenze pratiche. Attenzione, quindi, ad abbandonare le “inutili” discipline teoriche.

Quali potrebbero essere le aree di miglioramento e quali sono le sue prospettive per il futuro?

Alcuni esempi virtuosi esistono, come dimostrano alcuni gruppi di insegnamento volontari formati da maestri in pensione o giovani pedagogisti che spontaneamente organizzano delle lezioni per stranieri. Ma il problema non può essere risolto con il volontariato, bensì con un approccio istituzionale e di lungo periodo. La migrazione è un fenomeno fisiologico alla natura umana, e la maggior parte dei migranti è naturalmente portata a compiere percorsi di andata e ritorno tra il paese di origine e quello di destinazione. Gestire l’immigrazione è un’arte che non consente scorciatoie, e deve porsi come obiettivo la piena integrazione sottraendo i più fragili al rischio di finire nella marginalità e nell’illegalità. La consapevolezza del problema esiste già, mentre ora è arrivato il momento di investire tempo e risorse per affrontarlo in maniera strutturale.

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