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“Agire sul ‘danno motivazionale’ per prevenire il rischio dispersione scolastica”: intervista alla psicopedagogista Silvia Tabarelli

L’opinione di Silvia Tabarelli, insegnante psicopedagogista e autrice del libro “Reti contro la dispersione scolastica”, sull’evoluzione del fenomeno della dispersione scolastica, la trasformazione del ruolo dei docenti e i maggiori cambiamenti attesi da qui ai prossimi anni.

“Il primo passo per prevenire il rischio della dispersione scolastica deve essere quello di lavorare sul ‘danno motivazionale’ degli studenti” è l’opinione di Silvia Tabarelli, insegnante psicopedagogista e autrice del libro “Reti contro la dispersione scolastica” (Erickson) insieme a Marco Rossi Doria, intervistata in occasione del progetto “azionamenti | Laboratorio di possibilità” ideato da Fondazione Cariplo per supportare le scuole secondarie di I e II grado nel contrasto all’abbandono precoce degli studi.

L’insegnante ha una lunga esperienza nell’ambito della didattica per l’integrazione nei progetti di rete scuola-territorio verso gli alunni con disagio sociale e si è dedicata per moltissimi anni allo studio e alla ricerca empirica nell’ambito della progettazione, realizzazione e valutazione di ambienti di apprendimento inclusivi; è stata, tra le altre cose, docente nel corso di Didattica Speciale III presso l’Istituto Teologico Accademico di Bressanone e formatrice per il Centro Studi Erickson sulle tematiche della personalizzazione didattica per gli studenti e le studentesse con disturbi specifici di apprendimento.

Dottoressa Tabarelli, da dove nasce il suo interesse per il tema della dispersione scolastica?

Al di là dell’adesione a determinati valori etici, di giustizia sociale e di pari opportunità, la vera ragione risale al fatto che la scuola è stata per me un vero ascensore sociale, consentendomi di uscire da una condizione di partenza svantaggiosa dovuta alla mia condizione di donna nell’Italia degli anni Cinquanta. La formazione che ho avuto mi ha permesso di avere un’esistenza più ricca di opportunità e più serena di quella che avrei potuto avere senza la scuola, e questo rapporto di causa-effetto tra durata del percorso di istruzione e qualità della vita e è altrettanto vero oggi per coloro che decidono di abbandonare anzitempo gli studi.

Come è cambiato il fenomeno della dispersione scolastica negli ultimi anni, secondo la sua esperienza personale e in qualità di esperta?

Rispetto ad alcuni anni fa, come confermato di recente da una ricerca sui dati Invalsi e da uno studio del premio Nobel James Heckmann, sembrano essere cresciute la consapevolezza in merito alla correlazione tra il livello socioeconomico delle famiglie di origine e le probabilità di abbandono precoce degli studi, e le conseguenze della povertà educativa minorile sul resto del percorso scolastico.

Oggi si parla sempre più spesso dell’importanza del “fare rete” tra la scuola e le famiglie, tra la scuola e la comunità (a partire da quanto previsto dal Piano Scuola 2020-2021), a condizione tuttavia che la “rete” non sia una semplice somma di ruoli ma fondata su relazioni reali e non occasionali tra coloro che hanno un ruolo fondamentale nell’educazione dei giovani, soprattutto di quelli a maggiore rischio di dispersione.

In questo contesto quali sono i temi più significativi che emergono dal suo lavoro di ricerca, confluito nel libro “Reti contro la dispersione” scritto con Marco Rossi Doria?

Il primo passo per prevenire il rischio della dispersione è l’intervento sul “danno motivazionale” generato dagli insuccessi scolastici ripetuti nel corso del tempo. L’obiettivo deve essere quello di mettere i giovani nelle condizioni di riconoscere i propri errori, capire dove possono migliorare ma soprattutto apprendere la struttura epistemologica di ogni materia di studio per poter superare i propri ostacoli cognitivi. In questo senso, la valutazione dovrebbe sempre essere accompagnata da una spiegazione approfondita nell’ottica di diventare uno strumento di “meta-cognizione” in modo tale che, attraverso la valutazione dell’insegnante i giovani possono capire se stessi e che cosa devono fare per migliorare.

Quale dovrebbe essere in questo contesto, secondo la sua esperienza, il ruolo dei docenti o come dovrebbe cambiare per affrontare un problema grave come quello del rischio di dispersione?

Il lavoro dei docenti è essenzialmente un lavoro collettivo, anche quando in classe entra uno solo di essi. Il lavoro di squadra, la condivisione delle best practices, in questo senso, sono tutti momenti fondamentali per elevare la professionalità dell’insegnante e la sua capacità operativa. La qualità della scuola è nella qualità dell’insegnamento, tutto il resto è “backstage”: fare l’insegnante significa essere consapevoli della propria capacità di relazionarsi con gli studenti ma anche con i colleghi, i genitori, il mondo esterno alla scuola, non sostituendosi ad altri professionisti. In questo senso, lo psicologo scolastico può essere utile innanzitutto ad affiancare gli insegnanti nella gestione di una relazione difficile, faticosa, carica spesso di emotività, ma dove alla fine a prevalere deve essere la professionalità e il riconoscimento che dietro a ogni atteggiamento aggressivo o “ribelle” vi può essere un forte carico di sofferenza nell’allievo che l’insegnante deve saper riconoscere e gestire.

Quali sono le sue previsioni per il futuro e quali sono i maggiori cambiamenti in atto di cui tenere conto da qui ai prossimi anni?

Da un punto di vista più ampio stiamo assistendo a un forte ingresso di emotività ed affettività nella scuola, con il disagio scolastico che oggi viene visto e analizzato alla luce del più ampio fenomeno del disagio giovanile. L’insegnante non è più, da tempo, dietro una barriera invalicabile ma non è neppure del tutto in grado di far fronte a situazioni le cui cause sono precedenti e in gran parte esterne al contesto scolastico. È un disagio giovanile che entra nella scuola e che quest’ultimasi trova ad affrontare potendo contare solo sulle risorse ad oggi disponibili. Eppure, resta la consapevolezza che è in corso, dietro le quinte, un continuo lavoro di ricerca e di innovazione anche in quest’ambito – penso ai progetti di edilizia scolastica, per andare oltre il concetto di classi tra loro separate, penso alla proliferazione di laboratori e all’ingresso di professionalità esterne al mondo della scuola – e che sta già cominciando a dare i suoi frutti, avvicinando l’istituzione ai mutamenti della società.

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