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“La dispersione scolastica limita l’esercizio della cittadinanza”: intervista al professor Arduino Salatin

L’opinione di Arduino Salatin, professore emerito dello IUSVE di Venezia e consulente del Ministero dell’Istruzione, sulle cause e il ruolo della dispersione scolastica nella partecipazione dei più giovani alla società e le possibili aree di miglioramento.

Una vita tra docenze nelle scuole e all’università, studioso e ricercatore nell’ambito delle scienze della formazione, responsabile di istituti di ricerca come l’Iprase di Trento, consulente del Ministero dell’istruzione, fino ad arrivare al coordinamento scientifico del documento di studio commissionato dall’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza “La dispersione scolastica in Italia: un’analisi multifattoriale”.

Arduino Salatin ha un interesse particolare per quanto riguarda la valutazione e la progettazione formativa, una costante attenzione posta al rapporto tra formazione e ingresso nel mondo del lavoro e una solida esperienza in campo didattico, che gli ha permesso di maturare una conoscenza diretta delle problematiche che affliggono i più giovani, tra cui il fenomeno della dispersione scolastica che nel nostro Paese permane su livelli elevati.

Professor Salatin, da dove nasce il suo interesse per il tema della dispersione scolastica?

Il mio interesse nasce in primo luogo dall’esperienza di insegnante e dalle attività di ricerca sul rapporto tra formazione professionale e inserimento nel mondo del lavoro, insieme alle ricerche di pedagogia comparata tra il sistema scolastico italiano e quello degli altri Paesi dell’UE. Da qui è scaturita anche l’attenzione verso coloro che si trovano in condizione di difficoltà e a rischio di dispersione. Un rischio trasversale a tutti i livelli del percorso di studi e che ha portato alla richiesta – da parte dell’Autorità Garante per l’Infanzia e Adolescenza – di affidarmi il coordinamento di un’indagine sul tema, realizzato in collaborazione con altri esperti di settore e che ha visto la luce nel 2022.

Quali sono, secondo le sue ricerche nell’ambito, ad oggi le cause principali della dispersione scolastica?

La nostra ricerca dimostra come il fenomeno della dispersione scolastica sia a tutti gli effetti un fenomeno multidimensionale, le cui cause non sono riconducibili unicamente all’interno del sistema scolastico e formativo. La condizione delle famiglie, l’origine sociale degli studenti, il ruolo delle figure adulte nei percorsi formativi dei giovani, la presenza o meno di servizi socio-educativi all’esterno della scuola e la stessa accessibilità dei luoghi di studio sono fattori importanti che possono condizionare la possibilità di fruire dell’offerta formativa in condizioni di uguaglianza rispetto ai propri coetanei.

In questa prospettiva, viene confermata anzitutto l’importanza di intervenire fin dai primissimi anni di vita, quando lo studente è ancora alla scuola dell’infanzia e alla scuola primaria: interventi che devono tenere conto di numerose variabili, in particolare quelle legate allo sviluppo cognitivo e affettivo dei bambini. In secondo luogo, è decisivo l’intervento sulla componente genitoriale.

Come è cambiato, secondo lei, nel corso del tempo il fenomeno della dispersione?

A cambiare (positivamente) è stata innanzitutto la consapevolezza generale del problema e la disponibilità ad investire risorse pubbliche e private per affrontarlo. Se da un lato, tuttavia, ci sono stati significativi miglioramenti dal punto di vista degli indicatori statistici, soprattutto quelli riguardanti la cosiddetta “dispersione esplicita”, dall’altro sono subentrate nuove criticità nell’assicurare a tutti il raggiungimento delle competenze funzionali di base; ad esempio, si registra un notevole divario nelle competenze in matematica o in lingua italiana (che resta molto significativo tra gli studenti di origine straniera).

Inoltre, nonostante il trend di riduzione della dispersione rimanga positivo, con una contrazione annuale di coloro che abbandonano la scuola prima della conclusione del ciclo di studi superiore, permangono ancora forti differenze fra le regioni e un ritardo ancora significativo rispetto agli obiettivi europei (che impegnano tutti gli Stati membri a scendere sotto il 9%).

Va sottolineato poi che la dispersione scolastica non può essere ridotta a una questione puramente statistica; c’è anche una dimensione “implicita”: una ragazza o un ragazzo che non acquisiscono le competenze di base richieste al termine del percorso di studi non hanno infatti le stesse possibilità di partecipare alla vita pubblica e di esercitare i propri diritti di cittadinanza. È evidente, in questo senso, come la responsabilità di risolvere il problema non possa essere demandata unicamente alla scuola: senza un lavoro di alleanze, di costruzione di reti, esso è destinato a persistere anche nei prossimi anni.

Quali possono essere, in questo contesto, le cause che possono essere direttamente riconducibili della scuola?

Quello che manca nella maggior parte dei casi è la presenza di un forte collegamento tra le politiche scolastiche e quelle socio-educative, unitamente a un programma di orientamento capace di accompagnare i giovani lungo tutto l’arco del percorso di studi, fin dalla primissima infanzia. Non aiutano, ovviamente, neppure la rigidità del percorso di studi (ad esempio nei passaggi tra indirizzi diversi dopo la scuola media), la persistenza dell’insegnamento vincolato alla lezione classica di tipo frontale, e la scarsa disponibilità di posti per il tempo pieno, soprattutto per quei giovani che non possono contare sull’aiuto della famiglia nello svolgimento dei compiti e nelle attività di studio extrascolastico.

La stessa figura dell’insegnante, infine, andrebbe rivalutata, come ci insegnano le esperienze maturate in altri Paesi europei: non più solisti virtuosi, “eroi” solitari dell’insegnamento, bensì membri di un gruppo di lavoro dotato della capacità e dei mezzi per collaborare con altri operatori, specializzati dei servizi territoriali, per il successo formativo degli studenti. Per questo servono anche delle figure intermedie, capaci di organizzare reti educative nel senso più ampio del termine: dalla scuola ai servizi territoriali, dalla scuola alle realtà culturali, associazionistiche, sportive. Da notare, infine, l’importanza della responsabilizzazione dei destinatari stessi degli interventi, cioè gli studenti, i quali non possono essere considerati soggetti solo “passivi”, come confermano le molte testimonianze raccolte nella nostra indagine presso i rappresentanti degli studenti.

Quali potrebbero essere le aree di miglioramento e quali sono le sue prospettive per il futuro?

Per poter avere successo, tutti questi interventi devono poter contare anzitutto su una base di misurazione scientifica dei risultati raggiunti, cosa ancora piuttosto rara in Italia. Solo così si possono perfezionare i metodi e tenere traccia dei miglioramenti nel corso del tempo, e in prospettiva concentrare meglio le risorse che – per forza di cose – saranno sempre limitate.

E’ opportuno ribadire che la dispersione scolastica non è unicamente sinonimo di abbandono, ma un fenomeno complesso che può avere conseguenze molteplici; esso va colto a partire da vari elementi premonitori, come l’assenteismo a scuola, le bocciature e ripetenze, i risultati agli esami.

In questo senso è sempre importante disporre di dati analitici, dinamici e granulari per poterli incrociare in base all’età, al genere, alle scuole e ai territori di provenienza, alle condizioni socio-economiche degli studenti (a partire dalla cosiddetta inter-operabilità delle fonti); ciò permetterebbe non solo di realizzare una comparazione sensata con altri Paesi europei, ma soprattutto di capire meglio se la direzione intrapresa dalle politiche educative e territoriali è quella giusta.

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